Eppure l’ordinanza del Prefetto era semplice e concisa: sgomberare i rom dal Ferrotel. Ed invece eccoci qui, ancora una volta, a discutere di problemi di carattere empatico-sociale. Come è stato sottolineato acutamente da alcuni consiglieri di minoranza durante il consiglio comunale del 3 Giugno, a Cosenza la situazione è divenuta estremamente delicata: edificare una tendopoli non nobilita umanamente ma soprattutto non eleva le condizioni di vita nelle quali versano gli appartenenti all’etnia rom. Proprio così: basta forse recintarli tra quattro tende, porre telecamere per controllarne i movimenti, segregarli con del filo spinato (si badi, esagerazioni enfatiche) per pensare di risolvere questa triste situazione? Bisogna procedere per ordine: sono state verificate le condizioni igieniche del posto, da tempo trasandato e scenario della transumanza di animali e persone poco inclini a pratiche salutiste? Si è pensato a come possano 250 persone condividere simultaneamente 8 bagni comuni? Esistono le condizioni di civiltà per la permanenza in queste tende? La problematica principale è riscontrabile nel fatto che questa situazione non riguarda esclusivamente la città di Cosenza, bensì l’intera area urbana. A tal proposito, lascia diversi punti interrogativi l’articolo pubblicato dalla Gazzetta del Sud giorno 5 Giugno 2015, nel quale il sindaco Mario Occhiuto dichiara: “Il campo è assolutamente temporaneo e rappresenta in parte la risposta di Cosenza ad un problema che esiste e va risolto, secondo i criteri dell’umanità e della civiltà, cioè nel rispetto sia della dignità umana che delle regole del vivere civile”. Di conseguenza, l’interrogativo sorge spontaneo: quale miglioria (sempre che sussista) si vuole apportare predisponendo una soluzione temporanea per una situazione già precaria? Ancora, questa appare come una dichiarazione interlocutoria, poiché l’attuale primo cittadino ricopre anche l’incarico di presidente della Provincia e questa rappresenta proprio una vicenda che avrebbe richiesto una programmazione maggiormente ampia ed articolata, considerando il coinvolgimento di due enti. Ebbene, tutte queste puntualizzazioni servono a non dimenticare da dove si è partiti: la condizione di vita dei rom non va alleviata spostandoli da case abusive (da loro peraltro costruite) all’interno di tende predisposte in stile festival di Woodstock. La triste realtà sta nel fatto che non esiste, ad oggi, un progetto della nostra amministrazione che possa dirsi definitivo per la sistemazione dei rom, non sussistono procedimenti atti a scolarizzare le decine di ragazzi che giornalmente mendicano ai semafori. Qualsiasi Paese che possa oggi dirsi rispettoso dei crismi sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sa bene che lo stato sociale e la civiltà di un popolo sono esternalizzati nelle condizioni di vita dello stesso: è necessario tornare a ricostruire quell’umano sentire che porta ogni amministrazione a puntare sulla cultura, sul saper vivere in comunità, ma soprattutto, urge comprendere che in un momento di estrema delicatezza come quello che stiamo vivendo oggi è basilare conciliare la buona politica con la buona gestione delle vicissitudini sociali. Perciò, l’auspicio sta nella speranza di addivenire a soluzioni permanenti nonchè confacenti al rispetto della dignità umana , tralasciando definitivamente il modus operandi del “per ora va bene così, poi vedremo”.
Cosimo Guarini