Cambiare tutto per non cambiare nulla

nucci02Ci risiamo. Così come già avvenne su piazza Bilotti-Fera, ecco di nuovo una marcia indietro in un'opera pubblica cittadina per una questione burocratica non rispettata. Disattenzione, fretta di iniziare i lavori, leggerezza degli uffici, non ci importa tanto questo, che pure qualifica un'amministrazione nella cura di quello che fa. Ma la rimozione-non rimozione delle ringhiere delle aiuole di piazza Santa Teresa, ci da lo spunto per fare qualcosa di più, per avviare cioè finalmente una discussione aperta col sindaco su cosa stia realmente accadendo in città.

E prenderemo proprio il caso di questo ultimo cantiere avviato-non avviato (l'ennesimo) per iniziarla nel modo più chiaro e – si spera – esaustivo per tutti. Oggi in città sono in via di attuazione diverse opere, altre ne verranno, secondo programma del sindaco.

Nulla da eccepire, un'amministrazione ha tutto il diritto e persino il dovere di disegnare il futuro di una città. Ma disegnare, ecco dove sta il punto. Disegnare. Credo che il primo punto da cui partire, la prima domanda da cui cominciare sia: chi? Abbiamo visto più volte i comunicati del sindaco corredati dai progetti che disegnano le nuove prospettive di piazza Bilotti, delle piste ciclabili, della piazza Santa Teresa, così come delle fontane di via Arabia eccetera. Anche se profani, siamo comunque cittadini osservatori e per cui ci chiediamo: come mai lo stile di queste opere è tra loro così simile? E, per estendere ancora meglio la discussione al quesito che realmente ci interessa: chi disegna le nuove prospettive della nostra città? Un nucleo di progettisti? Un pool di esperti? Il nostro sindaco urbanista? Sarebbe un ottimo punto da cui cominciare, questo dei progetti.

C'è una città che sta cambiando volto e vorremmo sapere chi ne sta dipingendo i contorni. Con molta chiarezza, con nessuna polemica. Dire infatti, nel caso di piazza Santa Teresa, che la nuova piazza disegnata e presto realizzata “sarà in pratica il sagrato della chiesa”, in qualche modo condisce l'opera di una sacralità che fa a pugni con la laicità del progetto originario: la piazza che diventa il sagrato di una chiesa. Si è chiesto, sindaco, se questo va bene a tutti? Se lo è chiesto chi disegna oggi la nuova piazza? Chi, materialmente, ha progettato l'opera? E come lo ha fatto: seguendo i suggerimenti della Curia? Quelli di un gruppo di cittadini cattolici? O a seguito di uno studio del sindaco sull'integrazione tra chiesa e piazza?

Abbiamo chiesto le carte agli uffici, ma sono passati 47 giorni. Posso fare un esposto in Procura per omissione di atti d'ufficio ogni volta? Vorrei risolvere le cose politicamente, ma non mi è concesso. Stiamo sempre a denunciarci tra di noi. Perché le denunce vanno fatte sindaco, ma anche quando sono politiche, è necessario fare i nomi e lei i nomi non li fa. E qui si arriva inevitabilmente al secondo punto, ossia alla seconda domanda: come? Il sindaco faceva riferimento, in una sua precedente nota, al sacco di Palermo. Migliaia di concessioni edilizie che negli anni Sessanta, sotto la guida di Lima e Ciancimino, portarono alla demolizione di edifici storici e alla speculazione edilizia più selvaggia, tanto da fare storia. Ma soprattutto, il sacco di Palermo, quel sacco, fu la prima gigantesca testimonianza dell'infiltrazione mafiosa negli appalti della città.

Quasi duemila permessi concessi a prestanome, parenti di mafiosi o esponenti di zone non tanto grigie riconducibili a Cosa nostra. Ebbene, senza andare troppo lontano nei tempi e nei luoghi, la relazione della commissione d'accesso che ha portato allo scioglimento del Comune di Reggio Calabria racconta una storia che a quel sacco va molto vicina. Di chi parlava il sindaco nel suo comunicato? Chi sono gli omologhi del sacco di Palermo qui a Cosenza? Sono suoi vecchi alleati? Sono la sua opposizione? Occhiuto i nomi non li fa, ma certo ciò che dice è allarmante. Non può lasciarci indifferenti.

Chiediamo dunque al sindaco di operare il massimo della trasparenza e di indicare volta per volta quali ditte partecipano e vincono le gare, quanti soldi verranno impiegati per l'opera e quali siano i tempi per la realizzazione delle stesse. E questi due ultimi tasselli non sono cosa da poco, caro sindaco. Perché la storia recente di Reggio Calabria, guidata dall'allora sindaco Scopelliti, che su quel modello tanto declamato ha improntato la sua azione alla guida della Regione, racconta di tasse triplicate con le quali i cittadini pagano i debiti di servizi scadenti, di aziende comunali al collasso, di emergenze sociali talmente lievitate da mettere a rischio persino le spese fisse del Comune.

A proposito, come stanno le finanze di quello di Cosenza? Già perché le opere devono farsi, sindaco, ma bisogna capire se li abbiamo i soldi per farle e per completarle... Il terzo punto è invece: perché? E qui si accende la discussione a mio avviso più interessante, ossia quella sulla scelta della destinazione dei fondi pubblici su questa o quella opera, su questa o quella emergenza. Mi chiedo, le chiedo, ci chiediamo quindi: perché piazza Bilotti e non il centro storico? E ancora perché piazza Santa Teresa e non Piazza autolinee? Perché piazza XXV Luglio e non invece Vaglio Lise?

Ferme restando le scelte strategiche dell'amministrazione, quali sono le reali emergenze che il Comune individua come imprescindibili per un buon governo della viabilità, dell'ambiente, dell'urbanistica cittadina? Sono tutte opere che rientrano nel centro città quelle che sanano le emergenze? Perché se è così lo si dica chiaramente e i cittadini sapranno almeno quali sono i reali intendimenti del Comune: abbellire il centro città, abbellirlo al massimo e in fretta.

Occhiuto infine parlava dei beni comuni, che non sono la sommatoria delle istanze dei singoli, ma qualcosa che va oltre le proprie individuali aspirazioni. Ebbene, sindaco, noi saremmo anche disposti a sacrificare i nostri piccoli privilegi da singoli, come quello di circolare liberamente in una piazza senza rotatorie per la circolazione, come godere degli alberi secolari e anche perché no, della memoria dei luoghi.

Ma ad una condizione: che a tutte quelle domande (chi, come, perché e altre ancora) venga data risposta. Perché come dimostrano altri esperimenti cittadini, di questa e altre città, dare la parola alla comunità che in quei suoi rendering dovrà poi viverci nella vita vera, è un valore aggiunto dell'opera, non un bieco interesse personale frutto della sindrome “non nel mio giardino”.

La sindrome di cui siamo affetti noi cittadini, visto che le piace sempre mettere etichette cliniche a ogni critica alla sua amministrazione, è quella della buona politica. Quella fatta di partecipazione, senza deleghe in bianco. Quella fatta di trasparenza e di azione condivisa. Quella che distingue dei sudditi passivi da membri attivi di una comunità.

 

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