I nostri antenati dicevano “panem et circensens” … concedi oltre al cibo un po’ di divertimento ai tuoi sudditi e tutto andrà bene. Ai giorni nostri la vicenda si complica un tantino, il cibo scarseggia, ma si può fare tanto con i divertimenti, i frizzi, i lazzi, le fiere e le feste che, per pochi attimi della nostra vita, riescono a tenerci lontano dall'amara realtà del quotidiano. Questa lezione l’ha capita fin troppo bene il sindaco Occhiuto, ormai diventato un esperto in donazioni di fumo e di proclami.
E lo sanno bene i cosentini che, ad esempio, del ponte di Calatrava, o del castello svevo o del recupero di Gergeri ne sentono parlare ormai da tempo immemore ed ogni volta come se fosse la prima. Forse perché qui da noi la continuità amministrativa non viene percepita come il compimento solo e soltanto del proprio dovere.
Strano, se un sindaco fa quello per cui è stato eletto, dalle nostre parti, diventa un eroe. Come se il poliziotto che arresta il ladro o il medico che salva la vita in ospedale facessero più di quello per cui sono pagati. Stranezze del nostro quotidiano.
Ma torniamo ai divertimenti, alle feste, alle pure esercitazioni del superfluo e dell’effimero, per dire del lento inesorabile declino di uno di quegli elementi che facevano della nostra amata Cosenza, la culla della cultura calabrese. Quante volte avremo sentito dire: Cosenza, l’Atene della Calabria. tante...troppe. Oggi il pericolo di sentirsi ancora individuati in quell'analogia che ci inorgogliva tanto non c’è più. Non c’è perché culturalmente Cosenza non rientra più nel novero di quei piccoli centri della nostra penisola dove si era molto attenti non solo alle effervescenze politiche del paese ma anche alle tante sollecitazioni culturali da ogni parte esse provenissero. Una sorta di “Deserto dei Tartari” è diventata la nostra città, dove la buona volontà di alcuni, pochi, di fare cultura si scontra quotidianamente con le esigenze di visibilità e consenso della classe politica cittadina.
Ho avuto per le mani in questi giorni le delibere autorizzative delle spese affrontate dall'amministrazione per il Capodanno 2014 in città (determine dirigenziali n° 4 e 5 del 2014). Un Capodanno che tutti immaginavano, stante le ristrettezze del periodo, improntato alla massima sobrietà ed economicità. Nulla di più lontano dal vero. Un Capodanno che ai cosentini, a quelli in piazza ed a quelli a casa, è costato circa 130 mila euro. Un’enormità. Uno schiaffo non solo alla buona amministrazione ma soprattutto alle famiglie che non arrivano alla fine del mese. Non è demagogia, questa è l’amara constatazione di chi pensa che con questi soldi, bruciati in una notte, per gloriarsi su qualche Tg locale, si sarebbe potuta magari costruire una stagione di prosa degna di questo nome. O magari, aggiungendo qualche altra decina di migliaia di euro, si sarebbe potuta programmare anche la lirica nel teatro di tradizione della città, in concorso con quanto lo Stato prevede per queste iniziative meritorie sotto il profilo artistico-culturale.
Perché spendere 130 mila euro per una notte? Perché non badare una volta sola alle buone pratiche amministrative anziché vendere ghiaccio agli eschimesi? Questi interrogativi non vogliono suonare come critica tout court a questa amministrazione che per mille altre cose ormai è alla canna del gas. Vuole essere soltanto l’ultimo appello a raddrizzare una rotta che solo pochi occhi riescono a non vedere, porterà al naufragio. I “modelli” delle feste e dei lustrini sono stati bocciati. Andiamo al sodo, riprendiamoci il nostro orgoglio di essere cosentini e di esportare cultura come si faceva fino a qualche lustro fa, altrimenti corriamo il rischio di esportare solo modelli non ripetibili e destinati ad essere giudicati non dalle generazioni future ma nelle aule di qualche tribunale.
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