Come altri trecentomila insegnanti ho partecipato al famoso concorsone per l’immissione in ruolo nella scuola come docente.
Per dieci mesi ho studiato portando via tempo alla mia famiglia, con grandi sacrifici per tutti, ma sono riuscita a superare tutte le prove che il concorso prevedeva.
Alla fine ho ottenuto ottimi voti e buone credenziali in titoli, cosa che mi ha permesso di classificarmi, nella mia classe di concorso, nei primi 40. Un risultato accolto da tutti con grande gioia considerato che, in tale classe i posti messi a concorso erano poco più di 200. Ma… a settembre per le immissioni in ruolo sono state chiamate soltanto le prime 25 della graduatoria tra cui anche alcuni ammessi con riserva alle prove scritte e orali ( e sì la beffa è completa perché queste persone non avevano superato neanche la prova preselettiva e sono stati ammessi con riserva in seguito ad un ricorso al TAR).
La delusione è stata grande anche se molti, anche tra gli addetti nella materia hanno cercato di rincuorarmi dicendomi di “sperare” nell’immissione in ruolo per l’anno prossimo.
Sperare …già: peccato che nell’anno 1995 avessi già vinto un altro concorso nella stessa classe di concorso, indetto per una sessantina di posti: anche in quel caso pur essendomi classificata nei primi quaranta circa non sono riuscita ad avere la tanto agognata immissione in ruolo.
Ed oggi mi ritrovo ancora ad aspettare lavorando soltanto come supplente per pochi giorni all’anno e a sperare con l’unica soddisfazione di allungare continuamente la lista dei concorsi inutilmente superati.
E pensare che l’idea di fare l’insegnante è nata in me fin da quando ero piccola, mentre guardavo estasiata la mia maestra che magicamente mi accompagnava alla scoperta delle parole, dei numeri, facendo nascere in me l’amore per la lettura e la scrittura.
La mia maestra Filomena era un esempio, un modello per me e per gli altri miei compagni di classe.
Oggi invece guardandomi intorno vedo sempre meno insegnanti che fanno il loro lavoro con amore: molte ormai aspettano la tanto agognata pensione in classi sempre più numerose di bambini che con fatica riescono a capire e a seguire.
Quanta differenza con le colleghe più giovani che riescono a portare in quelle aule grigie una ventata di colore.
Purtroppo le giovani insegnanti sono sempre troppo poche: la maggior parte arriva all’immissione in ruolo già grande e sfiancata da anni di precariato e incertezze.
Penso che i nostri bambini non meritano insegnanti che pensano solo ad “una sistemazione”, ma insegnanti che li possano guidare con entusiasmo nel lungo percorso della conoscenza e che riescano a stimolare curiosità e amore verso la studio.
Nella Catone
Buongiorno Cosenza